COLOGNO
COINVOLTO NEL PROCESSO SULL’ ECOMAFIA. GIULIO FACCHI RACCONTÀ LA SUA VERITÀ

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“Sono sicuro e convinto che, se non si vince adesso, si vince in appello”. Esordisce così Giulio Facchi, durante l’assemblea pubblica di giovedì sera. Non perde grinta forte di sapersi innocente a dispetto del Pm di Napoli che ha chiesto per lui una condanna di 30 anni di reclusione nell’ambito del Processo Resit, con l’accusa di aver favorito la Camorra concorrendo a disastro ambientale con avvelenamento delle acque, abuso d’ufficio e falso ideologico (ne abbiamo a lungo parlato qui). Nella città in cui è cresciuto, ora che il processo sta per concludersi dopo 175 udienze in 6 anni, il colognese Facchi ha voluto raccontare pubblicamente la sua verità, mettendoci la faccia in un’assemblea durata più di due ore, davanti a chi lo ha visto crescere come uomo e come politico.

L’emergenza rifiuti in Campania cominciata nel ’94, scoppiò nel 2001, quando a partire da gennaio vennero chiuse diverse discariche e le procedure burocratiche impedivano l’apertura di nuove. “All’improvviso ci ritrovammo con 3 mila e 700 tonnellate al giorno di rifiuti che non sapevamo più come gestire –ha raccontato- Se avessimo spostato anche un solo chilo sulle discariche esistenti, le procure ce le avrebbero sequestrate”. Da quell’anno, quindi, Facchi afferma di essersi visto costretto a firmare alcune autorizzazioni tutte concordate però con la Prefettura, che lo hanno poi portato in tribunale.

“Da gennaio 2001 ad aprile 2003 ho dovuto gestire l’emergenza di un accumulo di 3 milioni e 700 mila tonnellate di rifiuti che non avevano un sito di smaltimento –ha spiegato-. Dovevamo riprogrammare la loro destinazione in tutta Italia e in Germania”. “Nei primi sei mesi ci siamo in qualche modo riusciti –ha poi aggiunto- ma da luglio 2001 la situazione si è complicata: le due principali discariche su cui ripiegavamo, una a Inzago e l’altra in Emilia, ci hanno comunicato che ad agosto non avrebbero potuto ricevere rifiuti; in più, nello stesso mese, il ministero dei trasporti ha vietato l’ordinanza per la quale i camion che trasportavano rifiuti campani avrebbero potuto viaggiare in tutta Italia”. È stato in quel momento che, secondo Facchi, gli è stata proposta la discarica di proprietà di Cipriano Chianese, considerato dagli inquirenti il re delle ecomafie. Si tratta della discarica Resit situata a Giugliano, un’area prossima alla terra dei fuochi. Facchi ha raccontato come questa discarica abbia smaltito solo il 7% dei rifiuti in emergenza, non risultando quindi un elemento centrale nel sistema di smaltimento.

Il suo errore, in sintesi, sarebbe stato quindi quello di rilasciare alcune autorizzazioni in qualità di sub-commissario ai rifiuti, senza trarne vantaggio alcuno a livello personale, cosa per altro che il PM stesso ha confermato non riuscendo ad identificare l’interesse economico del colognese in questa vicenda. Ora in sostanza, Facchi sembrerebbe dover pagare per tutti, né più né meno di un capro espiatorio. In merito all’accusa di favoreggiamento consapevole alla Camorra poi, Giulio Facchi proprio non ci sta, e già nei giorni passati aveva ribadito la sua totale estraneità da qualsivoglia legame con la criminalità organizzata.

ANDREA AMATO