I segreti della Martesana: “Il gatto scomparso”

Il terzo racconto è di Alfredo: votate il vostro preferito!

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Ecco il quarto racconto della nostra rubrica a opera del corso di scrittura creativa di Artèofficina. L’autore questa settimana è Alfredo, che ha preso ispirazione dalla sua Bussero per scrivere un racconto appassionante che ci ha fatto viaggiare con la mente.

Non possiamo non ricordarvi che voi lettori siete, come sempre, al primo posto.
Votate con un like su Facebook il vostro racconto preferito: al termine della rubrica, il vincitore otterrà un’intervista esclusiva con noi!
IL GATTO SCOMPARSO
Il bel tempo di quel settembre del ’52 aveva trattenuto le rondini fra i tetti dei casolari e delle ville della Brianza, ma in quella domenica di fine mese finalmente migravano verso sud.

Nel loro volo seguivano il corso della Molgora e sorvolavano i campi di mais ed i prati intorno a Bussero. 

Dall’alto, se avessero avuto qualche interesse per farlo, avrebbero certamente visto Don Giulio dirigersi di buon passo lungo la strada sterrata che lo conduceva alla cappella della cascina Gogna, affacciata sul naviglio della Martesana.

Le rondini non avrebbero invece potuto scorgere Marchino e Marta, che pure erano a pochi metri da lui ma ben coperti da un frondoso albero, in prossimità del Pilastrello.

I due ragazzi erano intenti a tirare distrattamente delle pietre contro l’edicola mentre parlavano delle cose loro.

Il Don camminava veloce, era in ritardo per la messa, ma il suo incedere era irregolare per evitare le pozzanghere ed il fango che il temporale della sera aveva lasciato sulla strada sterrata. Con una mano teneva sollevata la sottana e con l’altra reggeva la borsa con gli ornamenti, le ostie consacrate, le ampolle e tutto l’occorrente per celebrare messa.

L’acqua scura delle pozzanghere rifletteva il cielo azzurro cosparso di nuvole che, a grande velocità, si muovevano verso est spinte dal forte vento, tipico dei cambi di stagione.

Nell’aria tersa si respirava ancora il profumo del temporale ed era chiaro che, con quel sole brillante, i prati inumiditi dalla piaggia, prima del mezzodì sarebbero stati asciutti.

La piccola Marta, con i suoi codini neri ed il naso sempre moccioso, seguiva Marchino ovunque andasse, come un cagnolino gli si sedeva accanto, spesso in silenzio, ed ascoltava ogni sua parola come incantata.

Tra il lancio di un sasso e l’altro Marchino le disse: “L’altro giorno Gatto si è pappato i piccoli della coniglia bianca!”

“Sei sicuro che è stato Gatto? Nonna Palmira dice che a volte, le coniglie mangiano i loro piccoli! Non potrebbe essere stata lei, la coniglia bianca a farli sparire?”, commentò Marta.

“Anche Ettore l’aveva pensato ma ora dice che l’ha visto con i suoi occhi … ha detto che Gatto ha infilato la zampa nella gabbia quando la coniglia si è alzata dalla cucciolata.  Ha visto che prendeva uno dei piccoli e lo teneva in bocca! … Lui gli ha urlato e gli ha tirato dietro un ferro che aveva in mano ma Gatto è scappato … per un pelo!!!!

Ettore ha detto che appena lo trova lo ammazza, lo scuoia e poi lo mette in forno e se lo mangia!”

Marta strabuzzò gli occhi! … “Se lo mangia?”

“Sì. Lo dice sempre! Odia il gatto … e me.”  Poi, quasi pensando ad alta voce:” Ma no! … Figurati… quel vigliacco non lo farà mai!” disse Marchino per tranquillizzarla.

“Racconta sempre che nel suo paese i gatti se li mangiavano e che sono così buoni che erano il piatto tipico nei matrimoni, ma lo dice solo per spaventarmi, per provocarmi!!

Lui parla, parla … ma è certo però che se potesse prenderlo lo ucciderebbe davvero!”

“Non l’ha mai potuto sopportare Gatto, fin da quando l’hai salvato dal canale!”, ribadì Marta.

Marchino ora era pensoso … passarono alcuni secondi di silenzio: “… Ma no! Mangiarlo? … Quello poi non lo farebbe! … Quel vigliacco!”

Marta continuava ad essere preoccupata: “Se il tuo patrigno lo vuole uccidere dobbiamo metterlo al sicuro!”

“Lo so! Volevo nasconderlo ma non lo trovo. Da tre giorni non si fa vedere. Forse ha capito che qui non c’è aria buona per lui. Se lo trovassi lo metterei al sicuro! …  So già dove portarlo.”

“Purtroppo, nemmeno io l’ho visto! … Dovresti chiedere alla banda se qualcuno di loro ne sa qualcosa!” Disse Marta, ma, alzando lo sguardo si interruppe “Ecco il Don! Magari lui l’ha visto in giro …”

Marchino si illuminò in viso: “Hai ragione, lui gira sempre di casa in casa … ora glielo domando e dopo chiedo ai ragazzi.”

“Don!” Gridò, alzandosi in piedi per farsi vedere, “Avete visto Gatto da qualche parte?”

Da lontano rispose il Don distrattamente, tutto concentrato nel suo andare incerto per evitare le pozzanghere: “Cosa? …. Chi? … Gatto?”, poi alzando lo sguardo dal suolo li riconobbe.

“Ah, siete voi! Marco, Marta! … Non dovete tirare pietre al Pilastrello! È un monumento storico del 1500, … anche se non sembra! E poi tu?”

Rivolto a Marco: “Tu, non dovresti essere di già nella cappella per aiutarmi con la messa? Cosa fai ancora lì?”

Il Don parlava senza fermarsi, ma la sua voce, nonostante il rimprovero, era cordiale ed amichevole.

“La stavo aspettando Don!” Mentì Marchino e poi aggiunse. “Adesso vado! Ci metto un attimo. Sa bene che sono veloce… quando voglio!” Disse correndo via, saltando le pozzanghere seguito a ruota dalla piccola Marta che faticava non poco a stargli dietro.

Era come se d’improvviso il pensiero del gatto fosse stato spazzato via dal forte vento, insieme alle nuvole.

Don Giulio gridò: “Prepara tutto, che io arrivo! … Poi mi racconti del gatto” e quasi fra sé e sé “…  che non ho proprio capito di cosa parlavi.”

Marchino era un ragazzetto di piccola statura ma era agile, svelto e temerario.

Non si faceva certo mettere i piedi in testa e non amava chi se la prendeva con i più piccoli o indifesi. Se c’era da menare le mani non si tirava indietro.

Questa sua bellicosità gli era valsa una certa reputazione negativa di attaccabrighe, violento, testa calda che, unita al fatto, che non c’era orto o albero da frutto o campo o pollaio che non avesse ricevuto una sua visita, non contribuiva certo a renderlo il modello preferito dalle mamme.

I bambini della cascina, al contrario, lo adoravano.

In estate o in inverno Marchino, trovava sempre modo di farsi venire in mente qualche nuovo gioco o avventura per non annoiarsi.

Ma forse, più di tutto, lo adoravano perché lui si prendeva cura di loro ed in caso di necessità era sempre pronto a dare una mano … o un pugno …

Sapeva colpire duro, senza timore, non indietreggiava nemmeno di fronte a ragazzi che erano il doppio di lui in peso e, forse, in anni.

Non temeva il dolore fisico, perché era avvezzo a prendere botte e cinghiate dal patrigno che castigava duramente ogni sua malefatta, o presunta tale, ed i colpi, le botte, le escoriazioni, i lividi, il sangue dal naso, non lo spaventavano più: “Queste sono le mie ferite di guerra!” diceva mostrando agli amici un occhio nero o sollevando la camicetta per far vedere i segni delle cinghiate sulla schiena.

“Vedete? Non ho emesso neanche un grido, nemmeno un lamento. Non ho versato una sola lacrima!” Diceva orgoglioso sentendosi davvero uomo.

“Un uomo non piange!” Gli aveva urlato decine di volte Ettore mentre lui, piangendo dopo le ennesime percosse, si rifugiava fra le braccia di Aurora, sua madre, che lo proteggeva dai colpi ma non dalle ingiurie e dalle grida che, possono ferire l’anima più di una cinghiata.

Per non prenderle Marchino correva come il vento lungo l’argine del naviglio prossimo alla cascina.

“Prima o poi dovrai tornare a casa se vuoi mangiare!! Ed allora io sarò qui, ad aspettarti con questa in mano!” Inveiva Ettore, agitando in aria la cinghia di cuoio.

Nella cascina, dove la vita era vissuta in comunità era impossibile nascondere le cose, per cui tutti sapevano quanto succedeva a Marchino ma, per vari motivi, quasi nessuno interveniva; solo nonna Palmira, che per la sua età non aveva paura di nulla e nulla aveva da nascondere, lo difendeva anche di fronte al suo grande, forte ed iracondo patrigno.

Una volta Marchino, inseguito da Ettore, si era rifugiato dietro le sue sottane e, in mezzo al cortile, lei aveva urlato, alzando minacciosamente il falcetto che portava in mano: “Siete una bestia di uomo! Come potete picchiare un bambino in questo modo?”

Da allora ogni dialogo tra loro si era interrotto e nonna Palmira non poteva nemmeno essere nominata e tantomeno entrare in casa di Marchino … ma lei ci entrava ugualmente.

Quando Ettore usciva, lei entrava e consolava Aurora, l’aiutava e le dava consigli.

“Ettore, non è cattivo! È solo irruento ma so che, a modo suo, ci vuole bene e fa tanto per me … e per i ragazzi.” Ripeteva sempre Aurora, come per convincere prima di tutto sé stessa.

“Lui cerca di educare i ragazzi come gli hanno insegnato e, se ha bevuto un po’, perde il controllo.” 

“Una cosa è uno scappellotto o un buffetto sulla guancia ma io,” le diceva Palmira esagerando la storia, “… durante la guerra ho visto partigiani torturati uscire meno malmessi di Marchino!”

Una volta le domandò, provocatoria: “Dimmi un po’, Ettore cerca di educare anche te?  Non devi più permettergli di alzare le mani! Né verso i ragazzi, né verso di te.”

Aurora allora fu visibilmente imbarazzata. Si soffermò, fece per aprire la bocca poi la richiuse. Diresse lo sguardo in alto a sinistra, verso la grossa crepa nel muro sotto una delle travi portanti, per poi dire, con voce ferma: “No, con me è sempre corretto! … solo una volta mi dato una sberla, tanti anni fa, ma poi mi ha chiesto scusa.  Stai tranquilla che so come prenderlo, so come smussare gli angoli, so quando bisogna dirgli le cose perché le prenda nel modo giusto.”

“Speriamo!” Disse allora nonna Palmira emettendo un sospiro.

Marchino, nelle sue fughe, che potevano durare anche alcuni giorni, aveva sempre qualcuno che si prendeva cura di lui; una volta la cuginetta Marta gli portò un uovo ed un panino di pomodori secchi; un’altra volta Francone rubò per lui una bottiglia di latte nella cascina del Ballabio ed una fetta di torta la sgraffignò a nonna Palmira, la quale fece finta di non accorgersene.

Se non gli portavano cibo, lui sapeva comunque come procurarselo, aveva mille risorse e la campagna offriva sempre qualche opportunità, per cui, usando i fienili come giaciglio, la sua lontananza da casa durava parecchio tempo. Poi, quando percepiva che l’ambiente era più sereno rientrava ma ad aspettarlo, insieme agli abbracci della madre e dei fratelli, ai vestiti puliti e a un letto più comodo, c’era spesso anche qualche cinghiata.

Durante le notti di queste fughe, Gatto riusciva sempre a trovarlo e i due dormivano uno acanto all’altro, scaldandosi a vicenda in inverno. Marchino trovava sempre modo di reperire qualcosa da mangiare anche per lui e il gatto lo ricambiava con fusa e strusciamenti che il ragazzino fingeva di non apprezzare.

Da molti mesi ormai queste fughe erano cessate, da quando in paese era arrivato il nuovo sacerdote, Don Giulio che, con il suo spirito missionario e l’entusiasmo del giovane sacerdote, volle conoscere personalmente tutti i suoi parrocchiani cominciando da quelli meno abbienti e che a messa non ci andavano mai.

Fra loro, nonna Palmira era un emblema in paese, per cui il Don fece i suoi chilometri dalla casa parrocchiale, fino alla cascina Gogna, per incontrarla.

Tra loro nacque, d’istinto, una profonda stima reciproca ed una tacita alleanza e Marchino fu il loro primo lavoro di coppia.

Palmira raccontò al Don tutto quanto sapeva del ragazzo, del patrigno, delle percosse, delle sue marachelle, e delle continue lotte che lo vedevano protagonista.

“Marchino ha un carattere forte che lo porta senza indugio a battersi per difendere quello che per lui è un sopruso.  Tutti i ragazzini della cascina lo adorano e lo fanno chiamare in caso di necessità, è il loro capo indiscusso e pendono dalle sue labbra.”

Don Giulio pensava:” Se riesco a condurre Marchino in chiesa, anche il resto dei ragazzi lo seguirà!” e questo gli sembrava una buona cosa e che valesse l’impegno.

Palmira pensava: “Se il Don riesce ad allontanare Marchino dalle cinghiate di Ettore, questa è una buona cosa, … anche se per farlo dovrà entrare in chiesa.”

Il Don si offrì con Ettore e con Aurora di aiutare il ragazzo con lo studio in cambio del suo aiuto nella cappella durante le messe festive e mise le cose in modo tale che Ettore non si sarebbe mai potuto opporre.

Palmira parlò invece a Marchino, dicendogli che il nuovo Don l’avrebbe aiutato e ci mise ben poco a convincerlo.

Tutto questo spiega come il ragazzo ribelle e attaccabrighe, si trovava ora in chiesa a preparare la messa per Don Giulio.

Marchino arrivò alla cappella e, mentre apriva il portone muovendo il pesante chiavistello arrugginito, Marta lo raggiunse e si sedette in prima fila.  Arrivò anche Don Giulio che poggiò la borsa vicino all’altare, la aperse e ne estrasse la cotta di Marchino, la sua casula, le ampolline, la pisside con le ostie e tutto quanto serviva per la cerimonia.

Tutto si svolgeva quasi in silenzio. Marchino aiutò Don Giulio ad indossare la casula e poi si vestì mentre il Don continuava con i preparativi e la gente iniziava ad entrare.

Escludendo nonna Palmira, tutti gli abitanti della cascina erano presenti ma c’erano anche persone che venivano da Gorgonzola, Sant’Agata, Cassina de’ Pecchi e, come ogni domenica i ritardatari restavano fuori dalla piccola chiesetta.

La messa in latino si svolse velocemente e Marchino aspettava solo il momento buono per parlare al Don di Gatto.

Aurora, che fu l’ultima ad uscire, si mangiava il figlio con gli occhi e gli disse:” Marco! Tu e Marta a casa alla mezza per il pranzo, mi raccomando! Sai che Ettore ci tiene alla puntualità.”

Il marito si alzava all’alba, prima di andare al lavoro, per accudire l’orto e gli animali, e quando era ora di pranzo non sopportava di dover aspettare.

Quella domenica avevano ospiti; Ettore aveva invitato la zia Pinuccia con i cugini e anche Assunta e Salvatore; si festeggiava l’anniversario della zia.

“Mi raccomando, non tardate c’è una sorpresa. Ettore mi ha fatto preparare un piatto speciale!”

“Sì, mamma, stai tranquilla” Rispose Marco con una smorfia.

Aurora, non contenta della risposta del figlio, parlando a Marta che era accanto a lei e dandole una carezza in viso: “Marta, per favore, occupatene tu! Non tardate. Ti prego.”

Finalmente soli, Marchino raccontò al Don tutta la storia del gatto.

Don Giulio ascoltava ma dovette confessare di non ricordarsi di Gatto e chiese a Marchino e Marta di descriverlo.

“E’ un gatto grande, molto bello” disse Marta e poi si dilungò in quella che per lei era una storia eroica. Raccontò per filo e per segno di come Marchino aveva trovato il gattino, un cucciolo minuscolo, nel Naviglio. Probabilmente qualcuno l’aveva buttato lì sperando così di disfarsene e Marchino, per salvarlo, si era fatto calare nel canale lungo l’argine. Tenuto da Francone per i piedi era riuscito ad afferrarlo e a portarlo a riva, poi, dopo averlo asciugato e scaldato, l’aveva portato a casa e messo al caldo in una scatola da scarpe vicino alla stufa…

Marta raccontava ed era tanta la sua emozione che avrebbe parlato per ore anche se tutto ciò non era di nessun aiuto per trovare Gatto

“Marta, è una storia bellissima e fa onore a Marco ma non ci aiuta a trovarlo. Se riusciste a spiegarmi com’è fatto magari ci aiuta di più. Ha qualche segno?” Domandò Don Giulio.

Marchino: “Ha la coda storta, le orecchie marroni ed è a righe grigie e marroni! …. Ah, ha le punte delle zampe posteriori nere!”

“Sì, è vero” disse Marta “Sembra che porti gli stivali!”

“Finalmente ho qualche elemento per riconoscerlo! Vi assicuro che se lo dovessi vedere o sapessi di qualcuno che l’ha visto vi avviso.” Disse il Don avviandosi sulla via del ritorno. “Marco, noi ci vediamo domani in canonica dopo la scuola per matematica … “E poi con un piccolo sorriso:” … e non tardate per il pranzo, mi raccomando!”

 “Stia tranquillo Don!” Rispose Marco e poi a Marta:” Andiamo dai ragazzi, ci aspettano come sempre alla base.”

Marchino e Marta si diressero correndo lungo il Naviglio in direzione di Cernusco.

A poche centinaia di metri dopo il lavatoio c’era una grande pianta di fichi e lì, ad attenderli, c’erano Francone, Giulia, Paolo, Gianni e Maria; altri del gruppo quella domenica erano non erano arrivati.

Mentre correvano verso la base, si sentì il fischio del tram per Vaprio d’Adda che correva dall’altro lato del canale, lungo la statale. Marchino pensò che era un bene che ci fosse il naviglio a spararli dai pericoli del tram e dalle auto della statale perché Gatto odiava l’acqua e ci stava lontano.

Giunti al grande fico, i ragazzi ci misero poco ad organizzarsi per una battuta alla ricerca di Gatto; si divisero il territorio a coppie, a parte Marchino che decise di andare da solo, con il disappunto di Marta che fece coppia con Francone.

Partirono, ognuno per la sua strada e si diedero appuntamento alla base dopo un paio d’ore.

Nessuno dei ragazzi portava l’orologio ma il suono delle campane arrivava da lontano da Bussero, da Sant’Agata, da Cassina de’ Pecchi, contando i rintocchi tutti sapevano sempre l’ora …

Marchino si diresse a est verso Gorgonzola, Marta e Francone ad ovest verso Cernusco, Giulia e Paolo dovevano invece perlustrare l’interno della cascina e Gianni e Maria l’esterno.

I ragazzi controllarono diligentemente ogni angolo, ogni albero e chiesero ad ogni persona che incontravano ma tutto fu inutile.

Dopo due ore, si ritrovarono a mani vuote o quasi, perché Giulia e Paolo portarono un uovo di gallina a testa da bere sul momento.

“E’ ancora caldo!”, disse Maria prendendo il suo. Marchino, prese il temperino, che portava sempre in tasca, bucò il suo uovo sopra e sotto e poi avvicinò la bocca al guscio ne succhiò tutto il contenuto ancora tiepido, lanciando poi il guscio vuoto nell’erba seguito a ruota dagli altri.

Ragionarono un po’ sul da farsi e concordarono di ritrovarsi alle quattro per riprendere le ricerche portando con loro più persone possibili e facendo girare la voce a tutti.

Si lasciarono.

La campana di S. Agata suonava la mezza giusto quando Marchino e Marta arrivavano a casa trovando la tavola quasi completamente apparecchiata, nel cortile davanti al porticato.

I cugini più piccoli erano seduti e spizzicavano gli antipasti che le ragazze più grandi, a poco a poco portavano a tavola.

“Edo! … smettila di mangiare le olive! Lasciane un po’ anche agli altri” disse una di loro al fratello che non smetteva di portare cibo alla bocca.

Aurora, vedendo arrivare Marchino e Marta tirò un sospiro di sollievo: “Bravi siete arrivati! Marco, aiuta tuo fratello a portare fuori le sedie e controlla che ci sia posto per tutti. Siamo in dodici, se ho contato bene”

Marco fece quanto la mamma gli chiese poi si sedette a tavola nella zona centrale; al suo fianco si sedette l’immancabile Marta poi Edo che, nonostante i rimproveri, non smetteva di mangiare.

Di fronte a loro il fratellastro di Marco, e due posti vuoti per le sorelle maggiori di Marta e di Marco che avevano il compito di servire a tavola; ai due estremi opposti della tavola, come consuetudine, il gruppo degli uomini e quello delle donne tutti presi nei loro discorsi. 

Finalmente arrivarono in tavola le tagliatelle fatte in casa da Assunta e, per qualche minuto, i vari discorsi si intrecciarono e si unirono concentrandosi a decantare la bontà della pasta e del sugo fatto con la conserva di Aurora.

Ovviamente ogni occasione era buona per brindare, all’anniversario di Pinuccia ed Edoardo, alle tagliatelle di Assunta, al sugo di Aurora e poi finalmente era il momento del piatto forte.

Arrivarono in tavola due grandi teglie di patate al forno sulle quali erano adagiati due conigli, uno più grande ed uno un po’ più piccolo.

“Brava Aurora, l’aspetto è ottimo!” Disse Ettore. “Vi assicuro che è una carne molto speciale che ho fatto preparare con una ricetta del mio paese in vostro onore” ribadì rivolto a Pinuccia ed Edoardo.

“Grazie Ettore!” disse Pinuccia

“..  e grazie Aurora … “aggiunse Edoardo

Cominciarono a suddividersi la carne. Aurora era addetta al taglio con il trinciapollo e serviva nei piatti che, passati di mano in mano giungevano fino a lei vuoti e ritornavano pieni.

“Per me un pezzo di quello più grande! … ed anche Marchino deve assaggiarlo! … sono sicuro che gli piacerà!”  Disse Ettore guardando Marco con uno strano sorriso.

Marchino si irrigidì. Non si aspettava da Ettore un gesto amichevole ed era sempre in guardia: “Cosa avrà organizzato?” Era timoroso e sospettoso ma Marta era accanto a lui e non voleva impressionarla, così fece finta di nulla e spavaldamente disse: “Sì, mamma, dammi il pezzo più grande, … sapessi che fame ho!”

Aurora gli porse i piatti per lui e per Marta.

“Aurora, come mai avete tolto le teste dei conigli?  … Io non la tolgo mai perché dà un ottimo sapore e poi è molto saporita”, chiese Assunta.

“Ettore, mi ha portato gli animali puliti e mi ha dato la ricetta. Io li ho solo cotti. Comunque, le teste mi fanno un po’ impressione!”

Marchino, che era sempre più allerta ma si stava trattenendo, cominciò addentando una patata. Marta, che dopo le corse e la caccia al tesoro era affamata, addentò il suo pezzo di carne del coniglio piccolo: “Zia, è ottimo!”

Pinuccia, incuriosita dalle parole di Ettore, volle provare un pezzetto di quello piccolo e subito uno di quello grande per notarne la differenza.

“Ettore, hai ragione! Quello grande è anche migliore. Non so come dire? … Sembra una carne differente.”

Marchino, era sempre più teso! Ma alla seguente domanda di Pinuccia, buttata lì ingenuamente, con noncuranza, si irrigidì totalmente. 

“Dai su … che animale è?”, chiese.

Ci fu un attimo di silenzio, che sembrò infinito, in cui Ettore fissava Marchino con un sorriso beffardo e provocatore allo stesso tempo, poi disse semplicemente: “Miao, miao!” ed allora il suo sorriso si accentuò vedendo la reazione di Marchino che si pietrificò cercano di capire cosa doveva fare. In testa aveva mille pensieri ed emozioni che lo paralizzavano.

Marta sputò nel piatto il boccone che aveva in bocca.  

Marco saltò in piedi, afferrò il coltello, e corse verso Ettore rosso in viso urlando “Nooo … Me la paghi vigliacco!”; Ettore lo guardava, per nulla impaurito.

Il sorriso beffardo si era trasformato in una risata carica e grassa.

Aurora, vedendo il figlio alzarsi in quel modo, intervenne impaurita: “Marchino, ragazzo, che fai? … Ettore sta scherzando! … Ettore è vero che stai scherzando?… Digli che è uno scherzo!”

Marchino era ormai addosso a Ettore che si era alzato.

“Ettore, … digli che è uno scherzo! Ti prego!” Urlò ancora Aurora visibilmente impaurita, quando Marchino cercò di colpire Ettore che fortunatamente la coltellata andò a vuoto.

Ettore afferrò Marchino, gli strappo il coltello di mano; strinse il ragazzo tenendolo immobilizzato con le sue forti mani da manovale.

“Ecco! Il nostro chierichetto mostra la sua vera faccia. Sapevo che era tutta una montatura … vediamo cosa sai fare ora?”

“Lasciami! Lasciami! Vigliacco!”, urlava Marchino mentre lo prendeva a calci desideroso, ora, di scappare il più lontano da lì per non tornare.

Marchino urlava disperato. Edoardo si avvicinò per separarli insieme ad Aurora e a Marta che tirava lo zio per la camicia facendo quello che poteva per aiutare il cugino.

Ettore coprì la bocca di Marchino e solo allora, sopra le la voce di Aurora che continuava a dire fra le lacrime: “Basta … basta … digli che è uno scherzo! Ti prego!”, si sentì una voce da lontano che gridava: “Marco, Marco, l’ho trovato! Eccolo!”

Tutti si volsero e videro don Giulio che arrivava, quasi correndo, portando in mano per la collottola un grosso gatto grigio e marrone.

Alzava le mani perché fosse ben visibile da lontano. Era Gatto! Marco lo riconobbe subito.

Ettore si distrasse un secondo e Marchino gli morsicò la mano a sufficienza da fargli mollare la presa e correre incontro a don Giulio ed a Gatto … seguito a ruota da Marta che però, dopo due passi si volse tornò indietro e, dopo aver dato un calcio allo zio, riprese a correre dietro a Marco.